MARIA CABRA
L’INTERVISTA
(Una rubrica by LDC)
MARIA CABRA, an Italian electric lady in New York
Maria è una professionista delle luci e degli obiettivi. La sua passione per tutto quello che stava dietro la macchina da presa si è poi concentrata nello sviluppo di esperienze che l’hanno portata ad avere ben tre tipi di CV. Da gaffer, a cinematographer a best boy electric. Mansioni che siamo soliti attribuire a preferenze maschili e invece assolutamente interessanti per tutti. Maria ci fa entrare nel suo mondo e ci racconta anche cosa significa per un’italiana partire e costruirsi una carriera oltreoceano. Ci lascia anche un certo alone di mistero e riservatezza.
Una bella storia ed esempio: mai perdere il focus sugli obiettivi.
Signory: Maria.
1. Gaffer, Best Boy Electric, Cinematographer. Hai almeno tre tipi di curriculum diversi, ma tutti centrati sugli OBIETTIVI. Brevemente, descrivici un po’ il tuo lavoro e in quale mansione ti senti più a tuo agio.
Il mio lavoro principale negli ultimi anni si è focalizzato nel reparto delle luci e principalmente nei ruoli di capo elettricista, gaffer o suo assistente, best boy electric.
Direi che oggi mi sento a mio agio nel ruolo di gaffer, capo elettricista, ma mi sono serviti anni di gavetta in altre mansioni per raggiungere il comfort in questa posizione.
Continuo ad assistere capi elettricisti con più esperienza di me, perché c’è sempre da imparare e mi aiuta a migliorare non solo tecnicamente ma anche umanamente. Infatti, il mio ruolo richiede anche di sapere mantenere leadership, gestire chi lavora per me e curare il rapporto con producers e altri capi reparto.
Tra le mansioni di un gaffer ci sono la pre-produzione, in cui si elaborano le idee di esecuzione basandosi su ispirazioni di come si vuole il risultato, ordinare attrezzatura adeguata al tipo di luogo e a quello a cui si tende a raggiungere, assumere chi lavora nella tua squadra, negoziare i pagamenti con la produzione, organizzare il trasporto dell’attrezzatura e gestire la logistica della giornata.
Un altro elemento importante per l’esecuzione del progetto è a mio avviso la positività, mantenere un approccio positivo seppur realistico al progetto aiuta a far sì che tutti nella squadra si sentano coinvolti con un sorriso sulle labbra. Una battuta ogni tanto, un gioco di parole, i complimenti per l’esecuzione di un compito, servono per trascorrere il tempo insieme in modo armonioso e piacevole.
2. Non si può non sorridere nel notare che una delle tue diciture professionali sia “Best Boy Electric”. Com’è fare un lavoro da sempre considerato al maschile per una donna? Ed essere una donna italiana a New York che fa questo lavoro?
La posizione best boy electric include la parola boy ma non indica la discriminazione che a svolgerla possa essere una donna. Non mi sono mai chiesta cosa significa essere una donna, lo sono dal momento che sono nata di sesso femminile. Svolgo anche quel lavoro e nessuno mai mi ha discriminato per il mio sesso. Non ho mai fatto notare che sono una donna, non ho mai preteso un trattamento diverso, mi sono semplicemente adeguata al sistema di lavoro e culturale. Ho saputo dimostrare con fatti di essere qualificata alla posizione, ho conquistato la stima e il rispetto non con dibattiti culturali ma semplicemente lavorando duramente, con passione e rispetto altrui.
Se si va oltre al concetto di essere sessualmente diversi gli uni dagli altri e non ci si sofferma sulle differenze fisiche si può scoprire di essere simili in tanti aspetti.
Certo ci sono persone prevenute, ma cosa c’è di più bello se non dimostrare il contrario di quello che pensano: di superare le aspettative e provare che non è il sesso con cui si è nati a definire la capacità nel lavoro.
Se dico queste cose ora è perché ho saputo abbassare la testa e lavorare secondo le indicazioni date per tanti anni. Il dibattito culturale tra i sessi a volte perde di vista le necessità che ogni ambiente lavorativo implica. Se per montare una luce devi usare scale ripide o maneggiare cavi nello sporco di un determinato luogo bisogna farlo e basta.
Ho dovuto superare me stessa e certe paure che avevo, e questo mi ha permesso anche di migliorarmi come individuo. Bisognerebbe valorizzare la persona e non soffermarsi a giudicare basandosi sul sesso altrimenti si corre il rischio di categorizzare ogni tipo di lavoro come si fa con le categorie olimpioniche.
3. Da Brescia a New York, appunto. Com’è stato il passaggio da una città italiana e così tipicamente strutturata ad un’altra che è il centro di smistamento di mondi, culture e professioni creative?
Sono nativa di Brescia ma ho anche vissuto tanti anni a Milano dove ho frequentato l’università. Da piccola ho viaggiato spesso in Europa in particolare in Inghilterra, Scozia e Irlanda dove ho esercitato la lingua inglese fin dall’adolescenza. Maturare esperienze di diversi paesi mi ha permesso di mantenere una mentalità aperta di fronte le differenze culturali nonché sperimentare flessibilità nell’adattamento.
Una volta a New York, mi sono sentita da subito a casa: il clima di accoglienza che si respira qui non è pari a nessun’altra città rendendo piacevole e interessante le differenze culturali di tutti. Vivere a New York è come incontrare (quasi) tutto il resto del mondo stando a casa: ognuno ha una storia da raccontare, chi è emigrato secoli fa e chi è appena arrivato. Tutti chiedono “where are you from? Where is your accent from?” Certo, è chiaro, non sono nativa di qui, ma poi scopro che anche chi chiede ha una provenienza diversa, che sia uno stato negli Usa o un paese lontano. Il mio accento attira attenzione, ma in senso positivo, suscita curiosità e fornisce una scusa per iniziare la conversazione.
Ciò che mi ha permesso di vivere qui per tanti anni è principalmente la resistenza di fronte ai momenti duri, la perseveranza nelle difficoltà, la fede nel potercela fare e il continuo adattamento a ciò che si presenta intorno a me. La gestione delle emozioni e la capacità di comprenderle e di elaborarle è stato un punto di forza che tutt’ora mi accompagna e mi sostiene ogni giorno. Dopotutto siamo tutti umani, sia che abitiamo a New York, sia in Cina, Giappone o Brasile. Saper trovare i punti in comune aiuta nell’integrazione con le diverse culture, con chi abita qui da secoli o chi è appena arrivato.
4. Che difficoltà hai incontrato e quali invece i vantaggi nel lavorare nelle produzioni cinematografiche e televisive a N.Y.?
Una delle maggiori difficoltà incontrate nel mio lavoro sono state la gestione della leadership e il bilanciamento tra il lavoro e la vita di tutti i giorni. Riconoscere il proprio valore e mantenere un rapporto sereno nelle relazioni di lavoro è stato un momento chiave che mi ha permesso di rispettarmi e rispettare gli altri allo stesso tempo. Dopo anni passati a lavorare per altre persone è stato essenziale per me acquisire la capacità di gestione di situazioni stressanti con un sorriso e senso dell’umorismo.
Lavorando dodici ore al giorno quasi tutti i giorni mi ha spesso portato allo sfinimento. La realizzazione che si può dire di no a certe offerte di lavoro, e usufruire di quei giorni liberi per bilanciare le proprie energie, ha giovato positivamente sulle mie performances future e sul miglioramento di umore e di energia. Dopotutto non siamo macchine ma esseri umani che necessitano anche di riposo e distrazioni.
Il vantaggio maggiore nel mio lavoro è incontrare (quasi) ogni volta persone diverse, vedere e trovarmi in luoghi ai quali in altro modo non avrei avuto accesso e la possibilità di gestire il tempo libero in base alle mie esigenze.
5. Qual è stato il lavoro che ti ha messo più alla prova e quale invece ti ha dato più soddisfazione?
I lavori che mi hanno messo più alla prova sono stati quelli in cui altri dipartimenti mancavano di potere decisionale per carenza di esperienza sovraccaricandomi di responsabilità. Lavorare nel cinema richiede che tutti i capi reparto siano sullo stesso piano in modo da lavorare armoniosamente insieme. Se il tuo capo o il tuo collega non decide negli ambiti che gli competono e pretende che altri decidano per lui, il bilancio dei ruoli viene meno e si crea non solo confusione ma spesso frustrazione e malumore nella squadra che non giovano al raggiungimento del risultato finale.
I lavori che mi hanno dato più soddisfazione sono stati quelli in cui il risultato è stato apprezzato dal regista, dai clienti o semplicemente dal mio capo. Quando la pianificazione del progetto è servita per individuare soluzioni vincenti a una determinata situazione o risultato o quando il team personale di un talent ti complimenta di fronte a tutti.
6. Hai mai pensato di rientrare in Italia?
Non lo escludo un ritorno in Italia, tutto è possibile, ma sono realista, la mia vita e il mio lavoro sono qui oggi. Ho costruito il mio network a New York e negli Stati Uniti per tredici anni, tornare il Italia ora vorrebbe dire ricominciare da capo un’altra volta.
7. Dove ti vedi prossimamente? Quali sogni hai ancora da realizzare?
Credo molto nella realizzazione dei sogni e alla fede che necessitano per essere realizzarli. Per questo li tengo stretti a me e sono dei segreti che custodisco gelosamente. Sicuramente porteranno miglioramento alla mia posizione e non vedo l’ora di rivelarli con i fatti. Posso solo dire che mi sto allenando intensamente e migliorando il mio stato di salute sia fisica che mentale.
Sarà un lavoro intenso, ma non vedo l’ora di rivelarlo mostrando i risultati.
8. Se potessi lasciare un messaggio nella box del tempo multidimensionale, cosa scriveresti? A chi lo indirizzeresti?
Lascerei un messaggio per tutti quelli che non si sono mai sforzati di capirmi, chi mi ha giudicato per come ero, come vestivo, come mi comportavo, direi a loro che era mio compito risolvermi e che ho trovato la chiave per il mio successo personale e professionale e che le malelingue si ricrederanno vedendomi risolta.
9. Hai altro da aggiungere?
Sono molto grata per i miei genitori che mi hanno sempre sostenuto e a tutti coloro che hanno creduto in me ed aiutato nel corso degli anni.